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Perché obbligare gli studenti che fanno il saluto romano a scuola a leggere Scurati è una cattiva idea

Punizioni contro il saluto fascista in classe al Montessori: dalla sospensione all’imposizione di letture su storia e Resistenza. Ma ecco perché tutto questo potrebbe non bastare.
A cura di Beatrice Tominic
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Combattere il fascismo con la cultura. C'è chi l'ha presa forse un po' troppo seriamente, come la preside del liceo Montessori che, per punire i ragazzi immortalati con un braccio teso in classe durante la campagna elettorale per nominare i rappresentanti d'istituto, li ha obbligati a leggere alcuni libri sulla storia e la Resistenza già assegnati come letture per la scorsa estate. Testi che, visto il braccio teso in classe a metà ottobre, non devono aver avuto il risultato sperato. Con la lettura de Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, La ragazza di Bube di Carlo Cassola, Il garofano rosso di Elio Vittorini e Fascismo e Populismo di Antonio Scurati, anche dieci giorni di sospensione da trascorrere a casa e alcuni lavori socialmente utili a scuola, dalla catalogazione dei libri in biblioteca, alla pittura delle righe del campo di pallavolo.

Secondo quanto riportato da la Repubblica, i due, uno dei quali eletto a rappresentante d'istituto, dovranno svolgere anche un progetto speciale di storia. Come se bastasse una lezioncina a comprendere i valori dell'antifascismo e il simbolo di quel braccio teso al fianco dei loro volti durante la campagna elettorale. Lo stesso braccio teso che i due giovani hanno definito "gesto goliardico" una volta convocati dalla preside.

La discussione, però, dovrebbe essere più ampia. Come si spiega l'antifascismo? Come si spiega il sentimento di ripudio che, con un secolo di distanza, dovremmo provare ancora di fronte alle braccia tese, ancora di più in un luogo sacro come la scuola?

Un compito difficile quello spettato alla preside, che per educare menti in parte già formate, ha il compito di informare da una parte e correggere il tiro, dall'altra. Un compito che, però, non può essere affidato soltanto ad un libro, letto in poltrona, in cameretta, a comando. L'antifascismo non può essere insegnato come fosse l'algebra o la geografia, i ragazzi non diventeranno mai antifascisti perché costretti dalla preside o da qualsiasi altra autorità. E per quanto la cultura aiuti nella comprensione della storia e della società, automaticamente essere culturalmente preparati non è sinonimo di antifascismo. Proporre letture per capire, imparare, avere una visione più ampia di ciò che ha rappresentato il fascismo nel nostro Paese, senza dubbio può essere utile. Ma non basta. Imporle ancora meno.

L'antifascismo si tramanda con la pratica, con le attività, mostrandolo e facendolo vivere ogni giorno ovunque, a partire proprio dalla scuola. Una nota o una sospensione non può bastare ad accendere un interruttore nelle menti degli studenti. Confronto, discussione, critica e autocritica: sono queste le basi da cui occorrerebbe partire per cercare di capire il male che proprio quelle braccia tese, mostrate con orgoglio in classe davanti ad un cartellone, hanno fatto e che rischiano di fare ancora oggi.

Se, come diceva Gramsci, è in questo chiaroscuro che nascono i mostri, allora, la speranza è che la scuola rappresenti una luce affinché gli studenti possano cambiare idea.

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Nata a Firenze nel 1996, vivo a Roma da sempre: su Fanpage.it racconto cosa succede proprio nella capitale cercando di dare voce a chi non riesce a farsi sentire. Diventata giornalista pubblicista nel 2021, sono laureata in Scienze della Comunicazione e in Informazione, Editoria e Giornalismo nell'università di Roma Tre, dove per anni mi sono battuta per i diritti degli studenti come rappresentante e sono stata responsabile del periodico ufficiale di ateneo, CulturArte. Ho scritto per alcune testate online, come Corretta Informazione e il Confronto Quotidiano per cui mi sono occupata di questioni di genere e femminismo intersezionale e nel settembre 2021 ho partecipato alla Summer School sull'Ecologia Digitale di Camogli.
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